Cure dentistiche

Concorrenza spagnola e tariffe low cost romene: le peripezie e i guai dell'odontoiatra «made in Italy»

di Dario Di Vico, Corriere della sera.

Se esistesse un Bauman degli odontoiatri avrebbe già scritto «La solitudine del dentista globale». Perché quella che per decenni in Italia è stata una professione d’oro, ora deve fare i conti con una concorrenza spietata. Ecco i fatti. Ha già aperto 60 cliniche— e raggiungerà quota 100 entro quest’anno— Vitaldent, una catena di franchising a capitale spagnolo. Gli studi di Croazia, Serbia, Albania ma soprattutto Romania e Ungheria si sono organizzati alla grande per attrarre clientela dalla penisola.

C’è addirittura una agenzia di viaggi, la Noa Holidays, specializzata in turismo odontoiatrico all’Est. Ma non è tutto. In Italia esiste il numero chiuso, 900 ingressi l’anno, a Madrid però circolano 250 giovani italiani che studiano da dentisti e che, in virtù delle norme Ue, potranno tornare in patria e aprire uno studio o rilevare quello del papà. Infine il mercato delle cure dentistiche sta attirando l’attenzione anche dei capitali nostrani. Un gruppo di imprenditori lombardi sta pensando di copiare il modello Vitaldent mentre il S.Raffaele di Milano si appresta a varare una clinica con 90 postazioni. Spira dunque un forte vento di novità che mette alla frusta il piccolo dentista «made in Italy» con studio mono-professionale.
Se le tabelle dell’Oms prevedono un rapporto ottimale di un odontoiatra ogni 2 mila abitanti, in Italia siamo a uno ogni 1.100. In tutto coloro che possono praticare cure odontoiatriche sono 53.500 mila medici di cui 36 mila fanno i dentisti full time ma devono sopportare l’esistenza di un esercito di abusivi. Le stime parlano di 15 mila e solo nel 2008 i Nas hanno messo sotto sequestro 170 studi taroccati.

Non ci sono ancora dati che ci dicano come la Grande Crisi abbia ridotto i ricavi dei dentisti, il 50% però dichiara di aver subito una contrazione. E comunque già nel 2008 i dentisti continuavano a crescere di numero ( 4%) mentre gli incassi diminuivano (-20%). Secondo un’indagine di Altroconsumo addirittura un italiano su tre ha ritardato o rinunciato del tutto a una cura odontoiatrica perché non in grado di sopportarne la spesa. Il risultato è che molti medici hanno le agende vuote, lavorano tre giorni su sei oppure solo il pomeriggio.
I più giovani di fronte al rischio di rimanere inattivi preferiscono andare a lavorare nei franchising o nei service presenti negli ospedali lombardi, anche perché per metter su uno studio ci vuole un investimento di almeno 250 mila euro, un laser costa 30 mila euro e dura massimo 5 anni, non c’è verso di usufruire della Tremonti-ter e le banche, visto il numero elevato di professionisti, non sono così disposte a finanziare nuove aperture.

Il dentista, diventato suo malgrado globale, è spaesato. Tradizionalmente è un individualista, descritto come appassionato di motori e bella vita, poco interessato alla res publica (un solo parlamentare è odontoiatra mentre abbondano avvocati e medici). Oggi si trova davanti una concorrenza che usa i prezzi civetta come al supermercato e offre soggiorni in Romania e Ungheria a prezzi bassissimi. La Madenta hungarian dentists ha messo a punto una promozione S.Valentino, cura in coppia e un altro 10% in meno. Una terapia di riabilitazione complessa (che coinvolge 6-7 denti) che in Italia può costare 15-20 mila euro, nei Paesi a nuova vocazione odontoiatrica comporta una spesa assai più contenuta tra i 5-6 mila ma ovviamente i tempi di cura sono compressi al massimo in una settimana e non c’è possibilità di rivalersi. Da qui un contenzioso piuttosto fitto che le associazioni dei dentisti italiani sottolineano polemicamente nei loro siti. Così come destano commenti pepati i metodi usati dai franchising per attrarre clienti con volantini e hostess.

I dentisti italiani sono iscritti all’Ordine dei medici ma hanno anche un’associazione sindacale, l’Andi, che è piuttosto attiva. Tra Ordine e Andi qualche volta c’è baruffa e il presidente della seconda, Roberto Callioni, ha subito una censura deontologica per aver criticato l’Ordine. L’Andi ha anche chiesto aiuto alla Bocconi per analizzare e riposizionare la professione e non c’è da stupirsi visto che gli odontoiatri, nel bene e nel male, vivono sul mercato molto più degli altri camici bianchi. La spesa è sostenuta per il 92% direttamente dalle famiglie e solo il 6% dal servizio sanitario nazionale. Le previsioni del bocconiano Francesco Longo dicono che nel 2018 il 30-50% del mercato sarà occupato da grandi studi associati e il 40-60% della spesa sarà coperta da fondi integrativi o assicurazioni. Di conseguenza il consiglio è stato di aggregarsi e darsi una struttura a network, magari copiando dalla Spagna. Le ricette moderniste però faticano a passare, il grosso della professione resta ancorata al modello tradizionale — la stragrande maggioranza ha la partita Iva e solo 2 mila sono le società di capitali — e ha un rifiuto quasi psicologico a guardare avanti.

Eppure se c’è una professione che per effetto della concorrenza, peso degli investimenti fissi e dipendenza dal mercato assomiglia di più a un’impresa è proprio quella odontoiatrica ma il cambio di passo è difficile. E chi comunque sottolinea che la salute dei pazienti «non è merce che si compra e si vende» non dice certo una fesseria. Prendiamo ad esempio la pubblicità introdotta dalle lenzuolate dell’ex ministro Pier Luigi Bersani: il vecchio dentista era abituato al passaparola, al biglietto da visita da dare al cliente come memorandum e al massimo alla carta intestata. Qualcuno, più audace, ha concepito lo strappo di una piccola inserzione sulle pagine gialle. E’ evidente che di fronte ai rivali stranieri che usano spot e affissioni murali 9x12 salta qualsiasi confronto.

D’altro canto l’opinione pubblica — e le ricerche dei consumatori lo provano—non è tanto ben disposta nei confronti dei dentisti, li considera troppo cari e poco trasparenti. Quando un cliente chiede un preventivo al suo medico seguono alcuni minuti di brivido degni di Hitchcock. L’Andi ha provato a stilare un tariffario ricavato sulla base dei prezzi realmente praticati (un’otturazione vale tra 60 e 100 euro) ma l’iniziativa non è piaciuta ai tradizionalisti. Uno studioso delle professioni come Gianpaolo Prandstraller sostiene che i dentisti dovrebbe dare carattere «filosofico» alla loro professione. Dovrebbero evitare di inseguire la concorrenza low cost e puntare sull’allargamento del mercato. Due terzi della famiglie non vanno dal dentista nemmeno una volta durante l’anno e bisognerebbe invece inventare una consulenza a tutto tondo, capace di pianificare la prevenzione e di ampliare il campo d’intervento fino all’estetica del sorriso e la cura dell’alitosi.
In sostanza diventare professionisti di un terziario da Paese avanzato, ma è chiaro che si tratta di una ricetta che può affascinare e mobilitare una fetta ristretta dei dentisti italiani. Non sarebbe però una cattiva partenza.


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